Chissà perché i testi ancorati alle esitazioni delle fasi di passaggio riescono a parlarci meglio dell’anacronismo degli spazi interiori. La risposta più semplice è che con il proprio formalizzarsi nell’indeterminatezza di una pausa riescono a fare dell’impasse un movimento conoscitivo. Da questo punto di vista risultano quasi esemplari gli esiti dell’ultima prova poetica di Federica D’Amato, che fin dal titolo “Avere trent’anni”, si sofferma sullo sconcerto di chi al termine della giovinezza si trova davanti alla necessità di un consuntivo. Tutti abbiamo sperimentato l’importanza di quel personalissimo passaggio obbligato verso l’indipendenza e la solitudine chiamato “linea d’ombra”. Possiamo ben comprendere quindi quanto sia stimolante fare i conti con quelle particolari sensibilità poetiche in cui questo passaggio si rovescia nella comparsa di un'”ombra della linea”; nell’addensarsi cioè, sul tratto ancora esitante di ciò che appare, delle nebbie e i fantasmi che possiedono segretamente ogni esperienza […]
Dalla nota introduttiva “L’intraducibile” di Luigi Trucillo